Bad Religion
Punk, i devoti di San Fernando
di Guido Mariani
La Band di Greg Graffin e Brett Gurewitz festeggia trent’anni di “furore pensante” e pubblica un live scaricabile gratis dal loro sito. “In California l’idea hardcore dello ‘spacco tutto’ durò poco. Non dava né risposte né soluzioni”
Quando nacque il punk nessuno avrebbe pensato che sarebbe durato più di una stagione, sporco, rivoluzionario, rumoroso, autodistruttivo, sembrava destinato a essere una fiammata tanto brutale quando transitoria. “Punk” era una parola che si usava per indicate e aggressiva che alla metà degli anni ’70 conquistò prima i ragazzi inglesi e poi il mondo del rock’n’roll. Al contrario di tutte le attese, quella fiamma brucia ancora e oggi usare il termine punk ha un’accezione assai meno dispregiativa di una generazione fa. Parte del merito di questa rivoluzione nella rivoluzione va ascritto alla band Usa dei Bad Religion. La loro storia inizia nell’estate del 1980, nella San Fernando Valley, vicino a Los Angeles, i protagonisti sono tre ragazzi dai 15 ai 17 anni: Greg Graffin, Jay Bentley e Brett Gurewitz. Quest’anno la band compie trent’anni di carriera. Un lungo percorso scandito da 14 album in studio, un successo andato via via consolidatosi e una musica aggressiva, veloce, ma fortemente melodica e contraddistinta da testi socialmente impegnati al limite dell’intellettualismo.
Sono stati definiti “la punk band degli uomini pensanti”, ma anche “i salvatori del punk Usa”. Il loro anniversario ha ben poco di nostalgico. I Bad Religion non sono una band di revival e non si possono neppure definire dei sopravvissuti: la loro carriera è andata sempre in crescendo; la loro musica sembra migliorare nel tempo, persino il loro successo discografico è aumentato, e tra i loro fan ci sono vecchi affezionati, ma anche giovanissimi che li riconoscono come maestri. Sono la prova vivente che si può essere punk rock anche dopo i quarant’anni. Il nucleo della formazione è intatto dagli anni ’80 e non sembra certo che il punk li abbia bruciati.
Greg Graffin, alla voce, alterna il suo ruolo di cantate a quello di docente universitario alla Ucla dove insegna “Scienze della vita”; il chitarrista Brett Gurewitz dirige due importanti etichette discografiche, la Epitaph, casa della musica punk, e la Anti che annovera tra i suoi artisti Tom Waits, Nick Cave e Tricky. Al basso c’è Jay Bentley che oggi racconta: “Quando iniziammo a suonare il nostro intento era ribellarci contro una società che sembrava solo spinta dal desiderio di arricchirsi. Le nostre famiglie appartenevano alla middle class, e non eravamo certo poveri, ma in noi c’era un misto di noia adolescenziale e una serie di domande senza risposta a cui volevamo dare voce. La nostra intenzione fu dall’inizio quella di non essere solo una delle tante rock band della California, ma di provare a dire qualcosa di più, di parlare a tutti”. Nella line-up ci sono anche il chitarrista Greg Hetson già negli storici Circle Jerks e nella band dal 1988, Brian Baker, alla chitarra dal 1994, e Brooks Wackerman batterista del gruppo dal 2001. La loro carriera inizia da una delle ultime grandi rivoluzioni del rock nate dal basso, quella dell’esplosione del movimento hardcore punk americano negli anni ’80.
“Era un mondo in cui vigeva l’etica del do it yourself (fai da te) – ricorda Bentley –. Alcuni ragazzi che potevano aspirare solo a cercare un lavoro decisero invece di inventarsene uno. C’era un aspetto imprenditoriale: crearsi la propria musica, stamparsi i propri dischi, realizzare interviste, fotocopiarle andare ai concerti a distribuirle. Oggi con internet è tutto enormemente più facile e inoltre quella non era una realtà virtuale, ma c’era impegno e fatica”. Per festeggiare degnamente il loro compleanno hanno iniziato un tour mondiale in cui ripercorrono la loro carriera e che ha fatto nelle scorse settimane anche due tappe sold-out in Italia, a Milano e a Roma. “Con questo tour – prosegue Jay – non vogliamo celebrare qualcosa accaduto trent’anni fa, ma una carriera che continua e che ci ha fatto crescere in popolarità e portato dove non avremmo mai pensato di arrivare”. La politica ha sempre occupato un grande spazio nelle loro canzoni, nel 2004, nel culmine dell’era Bush hanno pubblicato uno degli album più lucidi, più caustici (e più belli) della loro carriera The Empire Strikes First. Oggi con Obama alla Casa Bianca le cose stanno cambiando?
“Sono contento soprattutto che non ci sia McCain… Sono contento che in questo momento abbiamo la possibilità di avere un governo che sembra lavorare effettivamente per le persone, ma temo che le persone alla fine non saranno mai felici… C’è un cambiamento in atto negli Stati Uniti, ma penso che sia rappresentato da una divisione sempre più profonda. Non parlerei più profonda. Non parlerei più di destra e sinistra, perché è una distinzione che non riconosco più, direi piuttosto tra liberali e conservatori. Ci piace pensare che i conservatori siano pochi, ma in realtà c’è un numero sempre più alto di persone che sembra seguire un’agenda fatta di paura, di prospettive fuorvianti. Tutto questo è deprimente”.
Nonostante il loro logo sia una croce all’interno di un simbolo di divieto, la religione in quanto tale non è mai stata al centro delle ire del gruppo. Per Bentley: “Una persona onestamente religiosa è una persona aperta nei confronti di chiunque. E questa è una cosa molto positiva. E sbagliato usare la religione per alimentare odio e incomprensioni”. Il loro stile musicale si è sempre contraddistinto per saper coniugare ritmi incalzanti e grandi melodie vocali.
“Per noi la potenza di una canzone non è data dal volume – continua –. Le nostre canzoni nascono spesso come composizioni acustiche e solo dopo assumono uno stile musicale definito, ma non direi neanche che tutto quello che facciamo è punk rock”. I testi, firmati in gran parte da Graffin, sono sempre votati all’impegno, non hanno mai creato contrasti nella band?
“Su quasi 250 canzoni che abbiamo scritto sarà accaduto due volte, ma è importante che tutti condividano quello che dice la canzone, perché si deve sapere che noi tutti crediamo in quello che cantiamo. Recitare, fare finta sarebbe orribile…”. È da poco stato diffuso anche un album dal vivo, 30 Years Live, che la band ha messo a disposizione gratuitamente sul sito internet www.badreligion.com, un regalo dedicato ai fan. “Non sappiamo se il disco live verrà stampato, ma stiamo pensando di farlo in vinile… Il nuovo album uscirà il 28 settembre e stiamo scegliendo tra due o tre titoli”. Il loro è un pubblico fedele e attento, ma non di rado ipercritico sulle scelte della band, come quella di aver inciso per un’etichetta major negli anni ’90. Dice Jay: “Devi essere consapevole che non potrai rendere felici tutti e quindi non devi prendere in considerazione i giudizi degli altri. Allo stesso modo se decidi di ignorare le critiche, devi anche ignorare chi ti elogia. Nel corso degli anni mi sono reso conto che il nostro pubblico in tutto il mondo è assai più simile di quello che chiunque potrebbe pensare. Non so perché ma mi piace pensare che la nostra musica piaccia a persone curiose sulla vita, su come funzione il mondo, sulla politica. E questo lo ritrovo ovunque andiamo”. Un pubblico di cui essere soddisfatti… “No, soddisfatti non è la parola corretta, io direi umilmente grati”. I Bad Religion non nascondono i capelli grigi, o ciò che ne rimane, cantano il mondo di oggi e sono ancora sulla cresta dell’onda. Il punk degli intellettuali alla fine ha vinto contro il punk di chi voleva distruggere tutto? “In California la mentalità dello ‘spacco tutto’ – conclude Jay Bentley – durò in verità molto poco. Del resto non dava né risposte, né soluzioni. Può essere di punti di vista, perché se oggi negli Stati Uniti sei un liberal molti ti vedono come un vero ribelle”. Qualsiasi sia il punto di vista, i Bad Religion sono riusciti a rimanere autentici anche col passare degli anni, la vecchia fiamma non fa forse più paura come nel 1977, ma riesce ancora a scaldare le coscienze.